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ANCORA 28 MAGGIO

Scritto da PCI Fed. Brescia.

Ancora 28 maggio, ancora ferite aperte, ovunque, e ancora a chiedere la verità.

Ma ci chiediamo se la verità già non la conosciamo, dopo quella infinita serie di depistaggi e

ritardi e responsabili finti e poi veri ed esecutori, la verità che potrebbe darci il modo di tirare le somme, di

disegnare un quadro che seppure indiretto ormai ha la forza per esprimere tutti gli elementi di cui

abbiamo bisogno. Sapere chi depistava è già il passo fondamentale per capire il perché si è colpito.

Ci chiediamo se accanto alla sacrosanta necessità di verità a volte non ci si nasconda dietro alla sua

mancanza per non essere costretti a capire o a confessare di aver capito per non doverne trarre poi

le dovute conseguenze politiche.



Quel disegno eversivo, si dice, fu sconfitto. Certo dopo la formidabile risposta popolare non si

cambiò regime, non si sostituì il Presidente della Repubblica, si tennero come sempre libere

elezioni, non si sospese il Parlamento. Ma quel 28 maggio rappresenta una data fondamentale della

politica perché se pure la provocazione non venne raccolta essa costituì la data effettiva d'inizio

della lotta armata. Si produsse una divisione non ancora sanata in seno alla classe operaia proprio

nel momento più alto della sua dialettica interna rispetto alla questione del governo del Paese.

Per cinque anni dovemmo scegliere tra lotta armata e compromesso storico, costretti esattamente

su quel bivio che non avremmo voluto e che non sapemmo interpretare. Fino all'omicidio Moro

dopo il quale non ci fu più nulla da scegliere.

Dire se questo fu un obiettivo degli stragisti non sarà probabilmente più possibile in termini di

documentalità storica, tuttavia possiamo certamente dire che per essi fu un risultato importante e,

nella loro ottica, il più rilevante che potessero raggiungere.

E se facile risulta la condanna di una bomba e di una strage in quanto atti violenti ed eversivi,

faticoso è considerare quella stessa bomba come un atto politico rispetto al quale siamo chiamati a

giudicare gli obiettivi, gli esiti e le nostre posizioni personali nella politica di oggi.

Perché se quella strage fu di Stato, e lo fu nella misura in cui lo Stato stesso non le fu estraneo per

mano dei suoi apparati deviati e delle sue connessioni atlantiche, perché se quella fu una strage

anticomunista, e lo fu, misuriamo oggi che essa produsse i risultati sperati.

Ed è questo il punto in cui nessuno è più innocente di altri, tra errori collettivi e complicità

profonde.

Solo le vittime sono innocenti e ne ricordiamo le vite e le  speranze per non tradirle ancora.