di Giorgio Langella (Dipartimento Lavoro nazionale PCI)
DA L'UNITÀ DEI LAVORATORI
6 dicembre 2007
Thyssenkrupp 15 anni fa. Successe nello stabilimento di Torino e fu un massacro. Sette operai morirono bruciati vivi. Una tragedia che di fatalità ebbe ben poco. Fu incuria, condizioni di lavoro che mettevano in pericolo la salute e la vita dei lavoratori e che, puntualmente, dimostrarono la loro totale inadeguatezza.
Sette vite distrutte, sette uomini uccisi. E smettiamo di chiamarle “morti bianche”, sono veri e propri omicidi sul lavoro.
Come si può leggere persino su Wikipedia: “Critiche all’azienda furono sollevate da più parti, sia perché alcuni degli operai coinvolti nell’incidente stavano lavorando da 12 ore, avendo quindi accumulato 4 ore di straordinario, sia perché secondo le testimonianze di alcuni operai i sistemi di sicurezza non funzionarono (estintori scarichi, idranti inefficienti, mancanza di personale specializzato)”.
Tutto, quindi, tranne “tragica fatalità”.
Allora, come avverrà ancora, ci furono promesse, prese di posizione, discorsi da parte di governanti e politici. “Mai più” si diceva … e quindi? Niente. Le lavoratrici e i lavoratori continuano a morire, uccisi. La salute e la sicurezza sono considerati costi che si possono abbattere. Un rischio che si può e si deve prendere, perché tanto … tanto, i processi seguono percorsi contorti, durano talmente tanti anni che ci si dimentica, che entra in ballo la prescrizione, che non è più possibile stabilire con certezza le responsabilità personali degli imputati.
Certo, per il massacro della ThyssenKrupp ci fu un processo che condannò alcuni dirigenti. Ma Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, ex amministratore delegato della Thyssen il primo e alto dirigente il secondo, dopo che la pena fu decurtata per le leggi in vigore in Germania oggi godono di un regime di semilibertà.